Pensare di perdere il TFR può essere devastante un po’ per tutti, ci sono però delle situazioni in cui questo può accadere.
Un lavoratore dipendente può godere di importanti vantaggi, molti dei quali sono completamente preclusi a chi è libero professionista, basti pensare allo stipendio sicuro ogni mese, ma senza dimenticare la garanzia di essere pagati quando si prende un periodo di ferie o di malattia. A questo si aggiunge la maturazione del TFR o Trattamento di Fine Rapporto, che può essere considerato una sorta di “salvadanaio” accumulato nel corso del rapporto, così da avere la sicurezza di poter accumulare un gruzzoletto che potrà essere utilizzato quando si lascerà l’azienda.
Scondo l’articolo 2120 del Codice civile, per ogni anno si riconosce una quota pari alla retribuzione annua lorda divisa per 13,5, oltre alla rivalutazione annuale in base all’indice ISTAT. Pensare di rinunciarci, proprio perché si tratta di un diritto previsto da anni, sembra essere impossibile, invece è così, se si verificano alcune condizioni ben precise.
E’ davvero possibile perdere il TFR? Purtroppo sì
Perdere il lavoro può generare non pochi problemi, per questo tanti considerano una vera salvezza la possibilità di avere diritto alla NASPI, l’indennità di disoccupazione, quella che si riceve in caso di mancato rinnovo di contratto o di licenziamento, non quando si danno le dimissioni volontariamente (salvo poche eccezioni). Quest’ultimo caso non ha però alcuna influenza sul TFR, conosciuto comunemente anche come “liquidazione”, che il datore di lavoro eroga nel momento in cui il rapporto si è concluso.
Non solo, il Trattamento di Fine Rapporto spetta anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari, anche se per giusta causa, risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, fallimento dell’azienda o sottoposizione a procedure concorsuali (in tal caso il TFR viene liquidato dal Fondo di Garanzia dell’Inps), raggiungimento della pensione, dimissioni per giusta causa, licenziamento per ragioni economiche (l’impresa deve ridurre il numero di dipendenti), morte del lavoratore (il TFR spetta ai familiari, anche se rinunciano all’eredità).
Ci sono però delle circostanze, che è bene conoscere, che possono portare a perdere il TFR maturato, almeno parzialmente. Vediamo quali sono.
Il lavoratore in caso di necessità può chiederne un anticipo quando risulta essere ancora assunto, fino al 70%, a condizione però che la cifra venga utilizzata per acquisto prima casa, spese sanitarie per sé o familiari, spese per formazione del lavoratore o dei figli. E’ però possibile farlo una sola volta, oltre ad avere maturato un’anzianità di servizio di almeno otto anni presso l’impresa.
Qualora si sia deciso di optare per la cessione volontaria del quinto, soluzione adottata da diversi pensionati in difficoltà, il datore di lavoro non è più tenuto a versare le rate del prestito, ma ha l’obbligo di trattenere il TFR del dipendente e di versarlo alla banca o finanziaria fino a concorrenza del debito residuo. A quel punto sarà la banca a utilizzare il TFR per estinguere il prestito, solo se il TFR dovesse avere valore superiore si potrà ricevere la differenza. Qualora invece la liquidazione avesse valore inferiore, sarà il dipendente a occuparsi personalmente di saldare il debito residuo.
La situazione può diventare critica anche in caso di danni provocati dal lavoratore al datore, è indispensabile agire in giudizio contro il responsabile affinché sia il giudice a condannarlo e a liquidare l’esatto importo. Se necessario, l’imprenditore può ottenere quanto gli spetta di diritto prelevandolo dal TFR.
Il quadro può complicarsi poi anche se al momento della cessazione del rapporto di lavoro è in corso un pignoramento dello stipendio. A quel punto la trattenuta passerà al TFR fino a che si riuscirà a recuperare quanto dovuto, anche se questa non deve essere mai superiore di un quinto.